Concessione abusiva di credito: le Banche sono responsabili

Concessione abusiva di credito: le Banche sono responsabili

Introduzione

Recentemente, con l’ordinanza n.18610 del 30 giugno 2021, la Corte di Cassazione, ha affrontato e fornito importanti delucidazioni sulla spinosa questione della concessione abusiva di credito da parte delle Banche alle aziende in stato di crisi, la conseguente responsabilità di queste ultime nei confronti di aziende e creditori e la legittimità o meno che il curatore fallimentare agisca in tale contesto.

Tale pronunciamento, sia per il delicato e annoso problema che va ad affrontare, sia per le sue dimensioni (più di 40 pagine di ordinanza), si configura come un piccolo trattato in materia, tanto da essere stato dato alle stampe dalla I Sezione Civile, andando ben oltre il seminato della sentenza di un ricorso, e assumendo un peso specifico importante per l’interpretazione della norma nei futuri casi a esso assimilabili.

 

Il caso

La Corte d’Appello di Roma, nel caso di specie in questione, aveva ribadito la validità della decisione del Tribunale di Frosinone, il quale aveva dichiarato inammissibile la domanda del Curatore fallimentare nei confronti di alcune Banche, poiché il Curatore aveva fatto valere la responsabilità diretta delle Banche al posto di quella in concorso con gli amministratori sociali (ex art. 146 L.F.). La Corte d’Appello di Roma aveva dunque respinto la domanda della curatela fallimentare per difetto di legittimazione ad agire, precisando che, per essere legittimata all’azione verso terzi, avrebbe dovuto avviare una pretesa direttamente e primariamente collegata a un fatto commesso anche dalla società fallita nella persona dei suoi amministratori. La curatela a quel punto ha proposto ricorso in cassazione, puntando soprattutto sull’affermazione della sua legittimità ad agire nei confronti delle Banche, reputandole responsabili per il danno causato al patrimonio della società fallita (già versante in condizione di crisi) tramite la concessione del credito.

 

Il ribaltamento in Cassazione

La Cassazione, per parte sua, ha ribaltato il giudizio precedente, cassando di fatto la sentenza d’appello e reputando il curatore fallimentare legittimato ad agire contro gli istituti di credito per la concessione abusiva. Vediamone sinteticamente i punti chiave che sono stati espressi e che hanno portato all’ordinanza.

Innanzitutto è stata più precisamente definita e descritta la concessione di credito abusivo, affermando che essa è quella “condotta della banca, dolosa o colposa, diretta a mantenere artificiosamente in vita un imprenditore in stato di dissesto, in tal modo cagionando al patrimonio del medesimo un danno, pari all’aggravamento del dissesto, in forza degli stessi interessi passivi del finanziamento non compensati dagli utili da questo propiziati, nonché delle perdite generate dalle nuove operazioni così favorite[1].

Il Legislatore, inoltre, lascia una sorta di vademecum per le Banche escludendo, invece, che sussista la responsabilità della Banca nel caso in cui essa, anche se al di fuori di una procedura formale di risoluzione della crisi dell’azienda, operi o abbia operato con il fine del risanamento aziendale, in quanto sulla base di una valutazione ex ante e dunque di dati, documenti, notizie acquisite (ecc.), l’azienda in questione sia stata reputata suscettibile di superamento della crisi o almeno della razionale permanenza sul mercato, seguendo essa un piano di risanamento aziendale in conformità a un progetto “oggettivo, ragionevole e fattibile”. Applicativamente parlando, ciò implica che sia prevista necessariamente la redazione di un piano economico-finanziario di risanamento di cui la Banca può avvalersi per una valutazione preliminare alla concessione creditoria, coerentemente con la fondata prospettiva che l’elargizione di questo credito sia utile e finalizzata in ultimo al risanamento aziendale. Precisando anche che “nella formulazione delle proprie valutazioni, la banca proceda secondo lo standard di conoscenze e di capacità, alla stregua della diligenza esigibile da parte dell’operatore professionale qualificato, e ciò sin dall’obbligo ex ante di dotarsi dei metodi, delle procedure e delle competenze necessari alla verifica del merito creditizio”; rimettendo così alla valutazione del giudice di merito l’accertamento di sussistenza di fattibilità e ragionevolezza del piano di risanamento aziendale.

L’ordinanza, poi, riconosce la legittimazione del Curatore ad agire per conto dell’insieme dei creditori, oltre alla legittimazione di far valere il danno occorso alla società, punto questo molto importante e innovativo in quanto va a ribaltare la prassi giurisprudenziale corrente. La motivazione che viene addotta per legittimare l’azione del curatore tra le cosiddette “azioni di massa” si puntella sul fatto che queste ultime non siano l’espressione di norme eccezionali “ma piuttosto manifestazione del principio più generale, secondo cui il curatore si sostituisce al fallito e ai creditori per le azioni che tendono a ripristinare la garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., mirando alla ricostituzione del patrimonio dell’imprenditore nell’interesse della massa”. Al contrario di quanto affermato in precedenza (diverse sentenze delle Sezioni Unite risalenti al 2006), risiede dunque proprio nell’interesse che ha la massa di creditori nei confronti della ricostituzione del patrimonio il discrimine secondo cui anche nel caso del singolo creditore danneggiato si possa legittimare l’azione attiva della curatela e non per forza quella individuale del singolo creditore.

In ultimo, la Corte individua i titoli di responsabilità della Banca verso l’impresa (di natura contrattuale, precontrattuale o per inadempimento di un’obbligazione preesistente), verso il ceto creditorio (inquadrati in particolare come responsabilità aquilana ex art. 2043 C.C. se in concorso con gli organi sociali) e precisa l’obbligo per il curatore di dedurre e provare, ai fini della configurabilità dell’accertamento della responsabilità della Banca, la condotta caratterizzata da dolo o colpa (dunque violativa delle regole che normano l’attività bancaria), il danno procurato dalla prosecuzione dell’impresa in perdita e del conseguente ulteriore dissesto e il rapporto intercorrente tra il danno e la condotta del finanziatore.

Avv. Nicola Bruno


[1] Questo e tutti i successivi virgolettati sono citazioni letterali dell’ordinanza della Cassazione, consultabili al seguente link: https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/18610_06_2021_no-index.pdf