Alleggerire la PA è possibile: ci vuole una trasformazione culturale

Alleggerire la PA è possibile: ci vuole una trasformazione culturale

Il PNRR, tra i suoi diversi obiettivi, contiene quello ambizioso di far decollare la transizione digitale e di alleggerire le procedure che ridisegneranno una nuova Pubblica Amministrazione la quale, forte di questi nuovi meccanismi, sarà capace rendersi più efficiente, innovata, reattiva nei confronti delle trasformazioni dei tempi e capace di stare al fianco dei cittadini e delle imprese erogando un servizio migliore. 

Per fari sì che questo Piano Nazionale sia davvero portatore di trasformazioni epocali come appunto quella digitale non si dovrà però contare solo sull’investimento di risorse economiche, ma anche e soprattutto scommettendo sull’ammodernamento e sulla sburocratizzazione della Pubblica Amministrazione a partire da una vera e propria rivoluzione culturale che dagli enti minori, sino alle posizioni apicali sia in grado di abbracciare l’intera PA. 

Le risorse economiche, infatti, sono sicure. La disponibilità di fondi dedicati ci sarà. La capacità, però, di spendere efficacemente tali somme, facendo sì che i diversi attori coinvolti nel processo di cambiamento attingano ai finanziamenti, è altrettanto certa? Purtroppo no. I soggetti destinatari sono vari e diversi, con altrettanto vari e diversi livelli di preparazione nella presentazione di progetti di ammodernamento, dunque, come prima cosa è necessario che si colmi il gap digitale che ci separa colpevolmente dal resto d’Europa tramite una profonda revisione dei processi della PA che parta da un solido investimento sulle competenze. Non è un caso se la prima delle 6 missioni menzionate dal PNRR sia proprio quella intitolata “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”.

Per mettere a segno tale obiettivo, tra i vari interventi segnalati nel Piano, vorrei citare in particolare:

  • Istaurazione della banda ultra larga e connessioni veloci;
  • Nascita di un polo strategico nazionale;
  • Formazione sulle competenze digitali.

Quest’ultimo punto mi sembra particolarmente importante in quanto la vera sfida, tutta italiana, sarà quella di riuscire a far decollare una transizione culturale nel Paese, che porti la tecnologia al centro della PA per poter rendere un servizio al massimo delle possibilità. La tecnologia, infatti, se da un lato, è già parte integrante del nostro quotidiano, dall’altra è anche la protagonista di un gap importante che corre lungo tutto il paese (sproporzioni generazionali, tra nord e sud e tra strati economici diversi) per quanto concerne la capacità di saper utilizzare tali tecnologie in modo efficace. Avere cittadini più informati, in grado di padroneggiare gli strumenti tecnologici a disposizione, farà sì che anche il cambiamento della PA avvenga in modo più semplice e fruibile. Non sono, insomma, le tecnologie a mancare (il mercato offre già un’ampia scelta), ma le capacità di selezionare quelle più idonee al perseguimento di un dato obiettivo e di saperle applicare.

Ecco, perciò, che il punto centrale risiede proprio nel mirato investimento sulla formazione, affinché si coinvolgano innanzitutto le strutture burocratiche erogatrici dei finanziamenti, per poi arrivare anche ai cittadini, che saranno ridestati proprio da un atteggiamento più “smart” rispetto a come sono stati abituati. La PA deve farsi più vicina ad essi, riducendo la richiesta di documentazione, azzerando la modalità di sottoscrizione o produzione di tali documenti tramite l’appuntamento fisico in loco (che dovrà sostituirsi con procedure digitali) e mettendo in comunicazione enti centrali ed enti locali affinché non vengano più fatte inutili richieste d’informazioni laddove già in possesso della PA (a qualsiasi livello). Per far questo servirà un rafforzamento delle competenze digitali del personale, ma soprattutto dei dirigenti per fare in modo che ci sia una uniformità di azione tra i vari enti a tutti i livelli.

Non si può pensare di prescindere dall’accrescimento dell’efficienza del settore pubblico se si vuole rilanciare il Paese, migliorare la sua performance produttiva e mettere i cittadini (e le imprese) nella migliore condizione possibile per accedere ai servizi pubblici. Le parole d’ordine devono essere: riduzione del divario digitale strutturale, innovazione e competitività del sistema produttivo.

Quali sono, infatti, i rischi di mettere in atto una modernizzazione che non sia strategica e che non tenga conto della formazione e della cultura aziendale? 

Il primo rischio è quello di non considerare la digitalizzazione come un tema di governance aziendale bensì soltanto come un fattore di accelerazione organizzativa o di business. Niente di più sbagliato. Basti pensare alle conseguenze, per il soggetto giuridico di una società, che potrebbero derivare dalla gestione scorretta dei dati e delle tecnologie, solo per fare un esempio. Non si può pensare di scindere la crescente digitalizzazione di aziende e PA, da quello che dovrebbe essere un proporzionale sviluppo della preparazione culturale del personale che utilizza le nuove tecnologie. Il pericolo è di generare enormi problemi sia di tipo gestionale connessi al piano della responsabilità oggettiva e soggettiva, sia di tipo civile e penale, in conseguenza all’utilizzo scorretto del supporto tecnologico.

Anche solo il banale utilizzo dell’indirizzo di posta elettronica aziendale per finalità personali, pratica purtroppo ancora molto diffusa, con le conseguenti iscrizioni a newsletter di prodotti o la connessione di account per concludere acquisti online, fanno sì che l’azienda venga esposta a dei rischi inerenti al dato personale, oltre a poter incorrere in responsabilità giuridiche avendo distorto la destinazione (solo lavorativa) dello strumento messo a disposizione dall’azienda.

Concludendo, non bisogna sottovalutare la questione della digitalizzazione e dell’uso mirato dei fondi stanziati, poiché agire al di fuori di un perimetro di crescita digitale controllata, significa inevitabilmente esporsi a una serie di rischi che, sul lungo periodo, potranno ripercuotersi anche sulla reputazione della PA stessa o delle aziende che perseguissero questa strada. Un’innovazione di facciata non solo non è utile per nessuno, ma anzi può rivelarsi dannosa, tanto più in un momento irripetibile come questo, in cui veramente c’è la possibilità di mettere in moto un meccanismo di progresso reale.

Avv. Nicola Bruno