
Sono tre le procedure di composizione concordata della crisi che possono essere avviate per iniziativa del debitore e che hanno per obiettivo quello di arrivare a un accordo tra debitore e creditori. Tutte e tre queste procedure trovano collocazione nella fase stragiudiziale e sono:
- i piani attestati di risanamento;
- gli accordi di ristrutturazione dei debiti;
- le convenzioni moratorie.
Tali procedure, sebbene esistenti già nella vigente Legge Fallimentare, hanno subìto diverse modifiche con la stesura del Nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, in particolare nel caso dei piani attestati di risanamento essi hanno acquistato dignità di istituto giuridico che prima non avevano, mentre per gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono diventati più facilmente fruibili, essendo state introdotte delle agevolazioni precedentemente non presenti. Inoltre, le modifiche apportate per gli accordi di ristrutturazione, sono già entrate in vigore a partire dall’agosto scorso, al contrario del resto della normativa che come è noto, sarà in vigore nella sua interezza a partire da settembre 2021 (salvo ulteriori slittamenti). Vediamo ora ciascun istituto più nel dettaglio.
PIANI ATTESTATI DI RISANAMENTO
Come si è detto, i piani attestati di risanamento, nella Legge Fallimentare, non erano un vero e proprio istituto, ma comparivano come un frammento della disciplina all’interno dell’art. 67, nell’ambito delle esenzioni dell’azione revocatoria fallimentare (terzo comma, lett. d)). L’azione revocatoria fallimentare è un istituto riservato ai soli imprenditori assoggettabili alla liquidazione giudiziale, dunque, i piani portano all’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza, il beneficio di questa esenzione, potendo tramite il piano (rivolto ai creditori) predisporre le condizioni per il risanamento dell’esposizione debitoria, riequilibrando la situazione finanziaria.
I due presupposti imprescindibili affinché un imprenditore decida di porre rimedio alla condizione della propria azienda tramite un piano attestato sono la situazione non irreversibile di difficoltà dell’impresa e lo scopo di risanamento del piano, ossia la finalità deve essere quella di riportare l’azienda a una situazione economico-finanziaria in grado di garantire una continuità aziendale. Per i piani è inoltre richiesta forma scritta, contenuto analitico e una data certa entro il quale esso deve trovare attuazione. Il piano deve indicare, nello specifico, oltre alla situazione economico-finanziaria dell’impresa e alle cause della crisi sopraggiunta, quali sono le strategie con le quali si ha intenzione di riequilibrare l’aspetto finanziario, quali sono i creditori (e le rispettive cifre dovute), i tempi di ciascuna azione di risanamento (con relative verifiche di attuazione e gli strumenti da adottare se si verificassero degli scostamenti tra gli obiettivi e la loro effettiva realizzazione). Tutti questi documenti devono essere presentati dal debitore (art. 39 C.C.I.) per accedere alla richiesta della procedura. Sarà poi un professionista indipendente a dover attestare l’attendibilità e la fattibilità (sia economica che giuridica) del piano presentato.
ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono normati principalmente dagli articoli 57, 60 e 61 C.C.I. con i quali oltre a riprodurre (art. 57 C.C.I.) nella sostanza quanto contenuto nella Legge Fallimentare (art. 182bis, ter) non modificando la parte inerente alla disciplina ordinaria, vengono attuate anche delle modifiche per quanto concerne l’estensione dell’efficacia di un accordo di ristrutturazione che può essere valido anche nei confronti dei creditori non finanziari (art. 61 C.C.I.), novità in materia in quanto precedentemente l’efficacia era limitata ai creditori finanziari. Accanto, dunque, agli accordi già previsti dalla L.F. e ora normati dall’articolo 57 C.C.I., troviamo gli accordi agevolati (art. 60 C.C.I.) e quelli ad efficacia estesa (art.61 C.C.I.).
Per presentare tale procedura sono previste due modalità:
- quella in cui il debitore munito dell’accordo presenta domanda di accesso al giudizio di omologazione di accordo di ristrutturazione e si apre direttamente la procedura;
- quella in cui il debitore presenta una semplice domanda senza allegare l’accordo (domanda in bianco) e si avrà dunque un accesso graduato al giudizio di omologazione attraverso la concessione giudiziale del termine.
Nel primo caso l’imprenditore (anche non commerciale) può richiedere l’omologazione se ha stipulato un accordo con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti. Deve inoltre essere indicato il piano economico-finanziario di ristrutturazione allegando i documenti previsti anche per i piani di risanamento di cui sopra, comprensivi della relazione redatta da un professionista indipendente sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità economica. Tale relazione che attesta l’idoneità dell’accordo, assicura il pagamento dei creditori entro 120 giorni dall’omologazione (se a quella data i crediti erano già scaduti) o comunque entro 120 giorni dalla scadenza dei crediti (se non erano alla data dell’omologazione ancora scaduti).
Nel secondo caso, ossia quando il debitore vuole chiedere un termine per poi accedere in seguito all’omologazione, esso dovrà presentare una documentazione ridotta (bilanci o dichiarazioni dei redditi inerenti agli ultimi tre esercizi precedenti) completando in seguito, ossia secondo il termine assegnato dal tribunale, il resto della documentazione con allegato l’accordo di ristrutturazione.
Accordi di ristrutturazione agevolati
Oltre alla procedura ordinaria, però, con l’art.60 C.C.I. ci troviamo dinnanzi anche la possibilità di accedere ai cd. accordi di ristrutturazione agevolati, con i quali invece di dover avere un minimo di adesione del 60% dei creditori si può ridurre la percentuale al 30% a patto che il debitore non proponga la moratoria del pagamento per i creditori estranei e che non richieda (anzi rinunci a richiedere) le misure protettive temporanee.
Accordi di ristrutturazione a efficacia estesa
Per quanto riguarda invece gli accordi di ristrutturazione a efficacia estesa (art.61 C.C.I.) essi duplicano il precedente istituto presente nella Legge Fallimentare con il nome di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari (art. 182 septies), ossia una forma di accordo speciale che si mette in atto quando il debito è per più del 50% contratto col ceto finanziario/bancario ed è volto a evitare che altri creditori minori dissenzienti impediscano di portare avanti gli accordi concordati con i creditori maggiori, ma a differenza del precedente istituto estendono la pratica anche ad altre classi che non appartengano a quella finanziario-bancaria, a patto che siano però facenti parte della medesima classe e che quindi abbiano posizioni giuridiche e interessi economici omogenei. Di seguito le condizioni necessarie:
- che accordo sia raggiunto con almeno il 75% della categoria;
- che si rispetti il principio di buona fede;
- che l’accordo non abbia carattere liquidatorio e che i creditori vengano soddisfatti in misura significativa o prevalente proprio grazie alla continuità aziendale (condizione che può non sussistere nel caso di accordo con la classe bancaria);
- che i creditori non aderenti (ma della stessa classe) possano essere soddisfatti in misura maggiore di quanto avverrebbe con una liquidazione giudiziale;
- che il debitore notifichi l’accordo, l’omologazione e tutti i documenti ai creditori a cui chiede di estendere gli effetti dell’accordo.
CONVENZIONE DI MORATORIA
La convenzione di moratoria, come le precedenti procedure di composizione concordata, è già presente nella disciplina vigente (art. 182 septies della L.F.) e ha per oggetto quei debiti che vengono contratti verso banche o intermediari finanziari di cui si prevede (che siano scaduti o meno) una dilazione del termine di pagamento. Con l’avvento del C.C.I., nell’art.62 che disciplina questo istituto, viene estesa a tutti gli altri creditori la possibilità delle convenzioni di moratoria, regolandone i termini. Le convenzioni che interverranno tra un imprenditore (anche non commerciale) e i suoi creditori, saranno vincolanti anche verso creditori non aderenti, a patto che essi appartengano alla stessa categoria e che rispettino le seguenti condizioni:
- con almeno il 75% dei creditori della medesima categoria deve essere raggiunto l’accordo;
- deve essere rispettato il principio di buona fede e di corretta informazione dei creditori (con la possibilità per questi ultimi di partecipare alle trattative);
- una reale prospettiva di soddisfazione dei creditori non aderenti (della medesima categoria) che non sia inferiore rispetto a quella garantita da una liquidazione giudiziale.